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Tutta la fatica, la passione e la professionalità dentro una bottiglia di Trentodoc

Chiacchieriamo di Trentodoc con Enrico Cattani, enologo responsabile dell’Enoteca provinciale del Trentino (http://bit.ly/EnotecaTN). È lui ad occuparsi, assieme ai colleghi, degli aspetti organizzativi per conto della Camera di Commercio di Trento, e soprattutto a seguire l’approvvigionamento, la cura dei vini, l’affinamento dei formaggi e dei salumi, testimoni del territorio, che vengono proposti in degustazione agli avventori dell’Enoteca. «La maggiore soddisfazione mia e dei colleghi – ci racconta – è quando ci dicono “vengo in enoteca perché mi sento rappresentato” oppure “porto volentieri gli amici perché posso far conoscere il nostro Trentino”».

Quanto è importante un prodotto come il Trentodoc per il Trentino?
È importantissimo. Lo spumante metodo classico è la punta di diamante dell’enologia, il vino più difficile da elaborare (non a caso rientra nella categoria dei “Vini speciali”). La sua produzione è dunque una vera e propria espressione di territorio, se vocato come lo è il Trentino e se vi sono  notevoli capacità tecniche e conoscitive sia del viticoltore sia dell’enologo. L’enologo in particolare ha il difficile compito in cantina di saper sfruttare al meglio quei fattori, spesso sfavorevoli, che Madre Natura mette a disposizione in un territorio sostanzialmente montuoso ed eterogeneo al fine di ottenere un prodotto sì di qualità e piacevolezza, ma anche rispettoso della “distintività” che quei fattori danno. Forse nel Trentodoc è più Madre Natura che si esprime se viticoltore ed enologo sanno stare al loro posto. E le potenzialità di produzione sono altissime: il “vigneto trentino” è nel complesso rispettoso dei ritmi naturali; le tecniche di cantina, le tecnologie, la ricerca sono tra le più qualificate al mondo; cresce il numero di aziende che producono Trentodoc, anche piccole, sull’entusiasmo di giovani tecnici e agricoltori; aumentano infine le tipologie di Trentodoc attraverso l’uso, ad esempio, del Pinot Nero in purezza, dei dosaggi e soprattutto del tempo di permanenza sui lieviti.

Che cosa racconta del territorio una bottiglia di Trentodoc?
Davanti a queste bollicine immagino i vigneti in pendenza, anche forte pendenza, con cime spesso innevate sullo sfondo; immagino le cure, quasi certosine, della vigna, necessarie a una produzione di questo tipo, quindi la fatica umana, la passione e la soddisfazione di vedere sempre più apprezzato e capito questo prodotto. Quando durante una mostra, una serata dell’enoteca o un laboratorio a tema, vedo i tavoli con sopra calici di Trentodoc, collego ad essi gli occhi apparentemente stanchi dei nostri padri e dei nostri nonni che hanno faticato su quei vigneti, e quelli vivaci, gioiosi, forse troppo spensierati dei giovani che vi siedono attorno. Penso però che solo quei giovani e la loro indubbia maggior conoscenza della enogastronomia, rappresentano la salvaguardia ed il giusto riconoscimento di quella fatica. Tutto ciò è indubbiamente un valore aggiunto: se non ci fosse quel lavoro, e ancora giovani disposti a farlo, se non ci fosse quell’entusiasmo, non avremmo questa qualità delle uve e questa qualità del vino base. Non posso infine fare a meno di pensare alla professionalità dei colleghi enologi, alla forza delle cantine, alla ricerca sul prodotto e alla fortuna di avere una scuola di enologia tra le più qualificate, l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige oggi Fondazione Mach.

Che cosa distingue il Trentodoc dalle altre bollicine?
Un Trentodoc lo si riconosce subito. Estrema finezza ed eleganza contraddistinguono questo metodo classico, soprattutto quello prodotto dalla viticoltura di media e alta collina. È di ottima bevibilità,  risulta immediatamente piacevole, non è banale e fa pensare….

C’è una tipologia di Altemasi Trentodoc che apprezza particolarmente?
Un’ampia gamma di Trentodoc consente di consumare il metodo classico in poliedriche occasioni, non solo nei momenti celebrativi, ma in abbinamento a piatti diversi. Penso non esista qualcuno a cui non piaccia l’Altemasi Trentodoc Riserva Graal, un prodotto unico, dalle note tipiche di un’evoluzione dove il lievito non è invadente e lascia spazio al fruttato tropicale e alla mela matura. Il Millesimato è invece la versione da cui partire per far scoprire il Trentodoc a chi ancora non lo conosce. Infine, apprezzo molto anche il Pas Dosé: abituati alla rotondità data spesso delle versioni brut, forse all’inizio si comprende meno, ma poi si impara a capire la sua grande finezza e bevibilità.

Negli anni ha lavorato in quello che oggi è il Consorzio di tutela dei Vini del Trentino ed è stato Segretario dell’Istituto Trento Metodo Classico, oggi Istituto Trentodoc. Si può dire che il Trentodoc l’ha visto nascere e crescere…
Sono stato testimone di quanto nel tempo si è evoluto ed è migliorato, di come sono cambiati il territorio, la viticoltura, le abitudini delle persone che lo hanno reso sempre più protagonista. Un ruolo importante lo hanno avuto anche i sommelier trentini che hanno contribuito molto alla conoscenza e alla cultura del vino in generale: oggi più di allora hanno la responsabilità di credere nel territorio e di trasmettere emozioni oltre che una tecnica “descrizione organolettica”. Ricordo poi un passaggio storico fondamentale di quando Cavit, che aveva in produzione un’etichetta metodo classico che riportava la denominazione “Trentino Doc” (prevista dall’allora disciplinare), rinunciò alla produzione per consentire la nascita del TRENTO D.O.C. e poi TRENTODOC, nome sotto cui raggruppare solo le produzioni metodo classico che rispettassero il nuovo e specifico disciplinare. Un grande gesto che ha contribuito indubbiamente a far nascere e crescere il Trentodoc e a diffonderne la conoscenza.

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